Benvenuto su DD Mind
  Accedi in DD Mind Home page  |  Installa la chat New!  |  Profilo  |  DDGiochi  |  DDForum  |  MindIT!  |  Impostazioni



Il blog di ALARICO (161)



Pag. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33


VEDICO...........................IL RACCONTO

di ALARICO del 11/01/2013 alle 11:33





«Il Cielo è il Padre che mi ha generato; tutta l’armata celeste è la mia famiglia. Mia Madre è la grande Terra. La regione più alta della sua superficie è la matrice; il Padre ha fecondato le viscere di colei che è sua Sposa e Figlia ».

 

Queste erano le parole che celebrava, cinquemila anni fa, il poeta vedico, di fronte ad un altare di terra, su cui bruciava un pugno di erbe secche. Questi strani pensieri hanno un profondo significato e racchiudono delle grandi speculazioni.Racchiudono l’importante segreto della doppia origine dell’Umanità. Il tipo divino dell’uomo è superiore e anteriore alla terra; la sua anima è celeste ma il corpo è il prodotto di elementi terrestri, impregnati di essenza cosmica. L’abbraccio di Urano con la Madre universale significa, nel linguaggio misterico, la discesa delle anime o monadi spirituali per fecondare i germi terrestri. La più alta regione della terra, che il poeta vedico chiama la matrice, indica i continenti e le montagne culla delle razze umane. Varuna, l’Urano dei Greci, rappresenta l’ordine invisibile, iperfisico e intellettuale, abbraccia tutta l’infinità dello spazio e del tempo.

 

Quaranta o cinquanta secoli prima della nostra era, spesse foreste si estendevano sullaquasi totalità dell’antica Scizia, dall’Oceano Atlantico al mare Polare. La razza nera aveva chiamato questo continente, che essa aveva visto nascere lentamente, isola, da « isola, paese sorto dai flutti ». Al centro delle sue pianure erbose, incolte e immense come pampas,non si udiva altro che le urla delle fiere, il muggire dei bufali ed il galoppo disordinato di orde immense di cavalli selvatici, dalle criniere fluttuanti. L’uomo bianco che percorreva quelle antiche foreste non era più l’abitante delle caverne e degli stagni ma poteva denominare se stesso signore della terra. Aveva inventato il coltello e le asce di silice, gli archi, le frecce e le fionde. Aveva trovato per aiutarlo nel suo gravoso compito due eccellenti compagni, amici impagabili e devoti fino alla morte: il cane e il cavallo. Il cane domestico era il vigile guardiano della sua rustica dimora. Montato a cavallo, l’uomo poteva affrontare l’orso, il lupo, il toro selvatico, combattere la terribile pantera e il leone che a quell’epoca abitava queste foreste. Cominciava la civilizzazione; la tribù al primo abbozzo, il clan e la colonia erano stati istituiti e gli Sciti, figli degli Iperborei, avevano innalzato in onore dei propri Antenati enormi menhirs.

 

Quando un capo moriva, le sue armi da guerra e il suo cavallo venivano sepolti con lui, affinché potesse servirsene nella dimora delle nubi ed inseguire il drago di fuoco nell’Al di là. La religione dei Boreali ha inizio con il culto degli Antenati. Il popolo semita scopre il Dio Uno, lo Spirito Universale, nel deserto, sulla cima delle montagne, nell’immensità dei cieli stellati. Gli Sciti e i Celti riconobbero Dei e spiriti molteplici nella profondità delle loro foreste. E’ qui che essi udirono le prime voci e che sperimentarono le prime emozioni dell’Invisibile e che gli si mostrarono le prime visioni dell’Al di là. Ecco perché il ricordo di terribili foreste incantate tocca così profondamente il cuore della razza bianca.

 

In queste epoche remote, femmine veggenti profetizzavano sotto gli alberi. Ogni tribù aveva la sua Sibilla; tale era la Voluspa degli Scandinavi con il suo Collegio di Druidesse. Ma queste donne, sempre nobilmente ispirate, si fecero prendere dall’ambizione e dalla crudeltà. Divennero streghe e maghe, celebrarono sacrifici umani, ed il sangue degli Eroi colò ininterrottamente a fiotti sui Dolmens, al canto lugubre dei sacerdoti e alle acclamazioni feroci degli Sciti.

 

«Tra questi sacerdoti ce n’era uno, ancor nel fiore dell’età, chiamato Ram, la cui anima si rivoltava e il cui spirito si contraeva alla vista del culto sanguinario. Questo giovane Druido era un uomo istruito e virtuoso, dolce eserio, che deplorava in segreto gli errori dei suoi compatrioti e riteneva a ragione che questo culto, lungi dal rendere onore alla Divinità, invece gli recava offesa. Conosceva profondamente le tradizioni del suo paese che aveva studiato profondamente. Dimostrava grande attitudine per il riconoscimento delle piante, per le loro meravigliose virtù, per la preparazione delle loro essenze distillate e non era meno avanzato nello studio degli astri e del loro influsso. Pareva in grado di presagire gli eventi futuri e vedere quelli passati. Tutto ciò gli aveva conferito una precoce autorità sui Druidi più anziani.

 

Unaforza magnetica emanava dalle sue parole e dalla sua semplice presenza. La suasaggezza contrastava con la ferocia delle Druidesse deviate, i cui clamori emaledizioni intercalavano i funesti oracoli, resi nelle convulsioni deldelirio. I Druidi lo avevano chiamato « Colui che sa », e il popolo lo diceval’« Ispiratore della Pace ».

 

Tuttavia Ram, che aspirava con ardore alla scienza divina, aveva percorso la Scizia e i paesi del Sud. Attirati dalla sua conoscenza e modestia, i sacerdoti della razza nera gli confidarono una parte della loro scienza segreta. Ritornato a Nord, constatò che la furia dei sacrifici umani continuava con ancor più virulenza; era la fine della sua razza. Per arrestarla, doveva combattere l’orgoglio delle Druidesse, l’ambizione dei Druidi e la superstizione del popolo.

 

In quel periodo una crudele calamità, che Ram interpretò come il castigo celeste per azioni tanto sanguinarie, cominciò ad infierire tra i Bianchi. Essi avevano riportato dalle loro incursioni nei paesi meridionali e dal loro contatto con i Neri, il germe di una malattia sconosciuta, una specie di epidemia pestilenziale. « Malattia tanto più terribile nei suoi effetti, poiché distruggeva la speranza stessa della popolazione attaccando il potere procreatore alla base », corrompendo il sangue e le fonti della vita. Tutto il corpo si copriva di placche nerastre, l’alito si faceva fetido, gli arti si gonfiavano e ricoprivano di ulcere ed il malato spirava dopo una terribile agonia.

 

« In poco tempo, questo flagello si diffuse dal Sud al Nord e dall’Ovest all’Est, facendo vittime in tutti i paesi. L’alito dei vivi e l’odore dei morti lo diffondevano: la Celtide, attaccata all’improvviso, ridivenne selvaggia; gli abitanti morirono a migliaia, di sfinimento, divenendo preda degli uccelli nelle foreste. Nulla resisteva a tale veleno. La Voluspa, interrogata, ordinò in vano sacrifici espiatori. Le vittime umane che si immolarono a migliaia non allontanarono il flagello. Quei guerrieri, per così tanto tempo indomabili, che riponevano ogni loro fiducia nella forza e nel vigore, sensibili solo alla forza bruta, non si riconoscevano più. Le armi gli cadevano di mano. Incapaci della menoma azione, si trascinavano nei loro campi solitari più simili a degli spettri che a dei soldati.

 

«Si definiva questa malattia Elefantiasi, forse a causa dell’elefante che sembrava esservi soggetto. Come Ram vide la fatale malattia diffondersi capì trattarsi di un flagello inviato dalla Provvidenza la quale, non potendo mutare direttamente la volontà pervertita della razza boreale, la dovette punire. Ram analizzò con minuzia la malattia; ne riconobbe il principio ma ne cercò invano il rimedio ». Egli aveva l’abitudine di meditare sotto una quercia della foresta sacra. Recandosi un giorno in questa, si sedette ai piedi dell’albero e dopo aver meditato a lungo sulle sventure della sua razza, si addormentò. « Durante il sonno gli sembrò che una voce lo chiamasse per nome. Credette di essersi svegliato e di vedere di fronte a sé un uomo dall’aspetto imponente, vestito con l’abito dei Druidi e con in mano una bacchetta su cui era involto un serpente. Sbalordito, stava per rivolgere la parola allo sconosciuto allorché questo, presolo per mano, lo fece alzare e additandogli sull’albero stesso ai cui piedi Ram aveva riposato unabella rama di Vischio, gli disse: — O Ram! Il rimedio che tu cerchi, eccolo. Subito dopo, tirando fuori dalla veste un roncolo d’oro, tagliò la rama e gliela dette. Dopo aver detto qualcosa sulla maniera di preparare il Vischio e di servirsene, scomparve.

 

«Il Druido [Ram] si svegliò di soprassalto tutto emozionato dal sogno che aveva fatto e non dubitando del suo carattere profetico. Si prosternò ai piedi dell’albero sacro sotto il quale aveva avuto la visione, e ringraziò di cuore la Divinità protettrice che glielo aveva inviato. Poi, avendo constatato che l’albero portava veramente una fronda di Vischio, la staccò con rispetto e la portò nella sua camera adeguatamente avvolta in un lembo del velo che gli fungeva da cintura. Dopo aver pregato per impetrare il favore celeste sul suo lavoro, dette inizio alle operazioni che gli erano state descritte, riuscendo a compierle felicemente. Quando ritenne che il Vischio fosse adeguatamente preparato, si avvicinò ad un malato senza speranza, gli fece inghiottire alcune gocce di quel rimedio divino sciolte in una bevanda fermentata, e vide con inesprimibile gioia che la vita, già pronta ad andarsene, si era rinvigorita; mentre la morte, costretta ad abbandonare la sua preda, era stata sconfitta. Tutte le altre prove dettero gli stessi risultati e così l’eco delle sue cure portentose si diffuse lontano.


«Giunsero a lui da tutti i paesi, il suo nome corse su tutte le bocche, accompagnato da mille benedizioni. Riunitasi l’assemblea dei sacerdoti, il pontefice sovrano chiese a Ram in che modo fosse giunto in possesso di un rimedio così portentoso e a cui tutta la nazione doveva la salvezza. Il Druido non si fece pregare ma, volendo conferire all’assemblea dei sacerdoti una sua autorevolezza, di cui mancava fino a quel momento, fece capire al Pontefice che facendo conoscere al popolo il nome della pianta indicata dalla Divinità, e presentandogliela alla sua venerazione come sacra, non avrebbe dovuto rivelarnela preparazione, bensì tenerla segreta al sicuro nel santuario, in modo da conferire alla religione maggiore fama e potenza, e quindi con mezzi meno violenti di quelli impiegati finora ». I discepoli di Ram che percorrevano laScizia vennero trattati alla stregua di messaggeri divini e il loro maestro come un semi-dio. « Il Pontefice sovrano approvò le argomentazioni di Ram. La nazione celtica seppe che doveva al Vischio, indicato dalla divina bontà, la cessazione del terribile flagello che la stava divorando; allo stesso tempo seppe che le misteriose proprietà di questa pianta, la maniera di raccoglierla e prepararla, era pertinenza della classe sacerdotale.

 

« Questo cambiamento di cose, che parve poco importante al tempo in cui avvenne, ebbe inseguito conseguenze importantissime, quando si consolidò la teocrazia assoluta e ogni linea di demarcazione cancellata, degenerando in dispotismo totale o in anarchia democratica, finché il potere venne usurpato dalla forza di uno solo o da quello della moltitudine.

  

«Così nell’Universo, il male nasce spesso dal bene e il bene dal male, così come la notte succede al giorno e il giorno alla notte, affinché si possano compiere le leggi del Destino, e che la Volontà dell’uomo scegliendo liberamente tra i due opposti, sia condotta dalla sola forza delle cose alla luce e alla virtù che senza posa la Provvidenza gli pone davanti ».

 

Gli avvenimenti descritti furono all’origine di un nuovo culto ed il Vischio fu da allora considerato sacro. Ram ne perpetuò la memoria istituendo al festa del Natale (Anno nuovo) o New-Heyl, il nuovo saluto o la nuova salute, messa all’inizio dell’anno e chiamata la Notte-Madre (del nuovo sole). Siccome a quell’epoca la notte più buia ricopriva il polo boreale, ci si abituò a considerare la notte come il principio del giorno e si chiamò « Notte-Madre » la prima notte dopo il Solstizio [d’inverno]. Ritengo che sia inutile sottolineare che è da qui che trae origine la nostra festa di Natale, sconosciuta ai primi Cristiani. L’essere misterioso che aveva mostrato il Vischio a Ram venne detto, nella tradizione esoterica dei Bianchi, Aesc-heyl-hopa, che significa: « la speranza di salvezza è nel bosco ». I Greci mutarono il nome in Asclepio (latino Esculapio), genio della medicina che regge il bastone magico, il Caduceo...

 






IMMAGINA.................................

di ALARICO del 11/01/2013 alle 11:29





Immagina..un punto di convergenza tra le dimensioni..una frequenza vibratoria che purifica ed eleva l'anima..un flusso di luce che dona salute e benessere nel corpo
Questo luogo esiste..questo centro ha un nome

E' il Fiore della Vita

Sempiterna Rosa di Angeliche Potenze
Prisma di cristallo che riflette i colori iridescenti dell'essere nella luce

Matematica di suoni e geometrie di armoniche tra la Terra e tutti i mondi

Questo luogo esiste..questo centro è qui

La sua Anima è una Dèa, la più eccelsa delle Dee 

La sua Luce è un Dio, servitore e cavaliere in eterno della Dèa delle Dee
In questo centro, Luce e Anima si incontrano..e nel loro incontro, è il sogno dell' Universo che discende in questo mondo
E nel sogno che si rende Vita, la Vita si dona all' Essere..e l' Essere, all'Uno
Dal Fiore della Vita, all' Origine di ogni cosa

alyas MITE


Si possono dire infinite cose sull' Amore..

Ma io mi limiterò semplicemente a dire

Che è la Forza Grande che tiene in equilibrio l' Universo..

e che nell' Uomo, è quel Luogo Celato chiamato Grande Desiderio..

attraversato dall' Arcangelo del Tempo..

quel Centro Nascosto, che suscita le più intense e profonde Emozioni della Vita!..

perché, come l' Orizzonte, è ciò che desideriamo sapendolo irraggiungibile!..

ma proprio per questo, sospinge ogni nostro pensiero ed ogni nostra azione verso l' Unico..

Da Uno sorge il Due..ma da Due non c' è ritorno all' Uno..

se non nella Luce invisibile che fa di due Anime una Sola, e di due corpi un unico respiro..allora, l' Amore Eleva!..

E questa Meraviglia, questo Mistero, questa "Alchimia", si compie e può compiersi solo Qui..

su questa Terra..

perché l' Amore è Vita!

E' il Sogno del Centro






DONNE................................

di ALARICO del 08/01/2013 alle 10:13





Sono le donne difficili quelle che hanno più amore da dare,
ma non lo danno a chiunque.
Quelle che parlano quando hanno qualcosa da dire.
Quelle che hanno imparato a proteggersi e a proteggere.
Quelle che non si accontentano più.
Sono le donne difficili, quelle che sanno distinguere i sorrisi della gente,
quelli buoni da quelli no.
Quelle che ti studiano bene, prima di aprirti il cuore.
Quelle che non si stancano mai di cercare qualcuno che valga la pena.
Quelle che vale la pena.
Sono le donne difficili, quelle che sanno sentire il dolore degli altri.
Quelle con l'anima vicina alla pelle.
Quelle che vedono con mille occhi nascosti.
Quelle che sognano a colori.
Sono le donne difficili che sanno riconoscersi tra loro.
Sono quelle che, quando la vita non ha alcun sapore,
danno sapore alla vita.
 

image

GLI ADDII
"Saper mettere un punto e andare a capo è uno dei segreti di ogni storia della vita. Se lo ritardi la rovini, se l'anticipi, la bruci, e se lasci che sia l'altro a mettere il punto al posto tuo vuol dire che tu eri già uscito dalla storia. Gli addii non si annunziano, si compiono, e la loro violenza è inevitabile come quando si muore, la violenza del silenzio che segue. Gli addii camuffati da arrivederci li considero le perfidie peggiori, in realtà tagliano le gambe ad ogni possibile ritorno... Mettere un punto non è abbassare il sipario e nemmeno cambiare copione, è semplicemente interrompere la recita e uscire di scena, non finire la battuta, osare, interromperla con un punto assurdo, scontentare il pubblico, l'impresario, perfino te stesso! Perchè recitare il tuo ruolo ti piaceva... e come se ti piaceva! Ma vivere tutto "come se" è un danno, lo conosco e me lo sono procurato cento volte. Ci sono coppie immobili che per paura dell'abbandono sono avvinghiate con il filo spinato del "come se", come se si amassero ancora..."









ATTIMI.............................

di ALARICO del 08/01/2013 alle 9:45



http://digilander.libero.it/angelo.senza.veli/9b6502c17d_1947415_lrg.jpg
Ci sono attimi che ci innamorano sempre di più.
Quelli capaci di dare un senso d'eterno
ad un piccolo momento.
Indelebili.
Attimi in cui sentimo quanto amiamo e
quanto ci amiamo.
Che ti portano oltre le rive.
Quelli che ti portano a dire...
«Ho vagato senza scopo e destino
Fino alla fine dell'arcobaleno
Nelle notti bagnate dal vino
Finchè ho sentito la mia voce da bambino!»
Perchè abiti in Me da sempre...
Sublimazioni dell'Anima.

Non so se quello che sento è
una risposta o un' eco.
Ma non importa...

Questo viaggio si deve fare !!!
La amò per ore,
con gesti che non aveva mai fatto,
lasciandosi insegnare una lentezza
che non conosceva.
La bendò perchè ne potesse godere ogni suo senso.
Assaggiò la sua pelle che sapeva di
ambra lasciando che nella sua bocca
si sciogliesse l’essenza.
Accarezzò quella pelle preziosa come
seta e come mai in quel momento
sconosciuta alle sue mani,
 lui che tante volte invece l’aveva amata.
Eccitato ne ascoltava i gemiti,
canto di un amore mai svelato.
Fu allora che le si accostò ai fianchi
e la tirò a sè fino a sentirla sua,
fino ad essere completamente suo.

con gesti che non aveva mai fatto,
lasciandosi insegnare una
lentezza che non conosceva.











SaTiR0DeViL

di ALARICO del 07/01/2013 alle 17:26



HOLA SaTiR0DeViL CHE FAI MORDI E FUGGI?
POTEVI RESTARE IN CHAT ANCHE PER CONOSCERCI MEGLIO. TI RIASPETTO. COSI' PARLIAMO UN POCO, CIAO
     







Pag. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33